Storyboard.
1. Un bimbo è rannicchiato in un angolo e gioca da solo in una stanza isolata, angusta. Lancia in aria una palla e la segue con lo sguardo.
2. La palla gli scappa di mano e comincia a rimbalzare, fuori controllo, giù dalle scale.
3. La palla continua a rimbalzare attraversando la città e il bimbo cerca di recuperarla seguendola.
4. La palla continua a rimbalzare.
5. Un cane, che sta da solo per i fatti suoi facendo qualcosa di buffamente tenero (?), viene colpito dalla palla.
6. Il bimbo e il cane hanno fatto amicizia e stanno insieme.
Ecco, questa è l’idea. Mi convincono abbastanza la scena iniziale e quella finale (un libro di sceneggiatura che lessi mesi fa direbbe che sono a cavallo 🙂 ). Nell’abbozzo di storyboard (immagine 1), nella parte sinistra, il bimbo lancia volontariamente la palla fuori di casa. Forse è meglio che la cosa avvenga fortuitamente.
Le sequenze in cui la palla rimbalza per la città, invece, mancano proprio di significato, sono riempitivi ripetitivi e inutili. A meno che… bò! Potrebbero rivelare dei dettagli che, composti alla fine, si rivelino risolutori. Ma quali?
Un’altra opportunità che mi piacerebbe sfruttare è il fatto che la luce passante per la finestra aperta, alla fine, riveli sul muro un poster con una sorta di citazione sull’amicizia e sullo stare insieme, cosa che il bambino non riusciva a vedere all’inizio a causa del suo isolamento che lo portava a tenere la finestra chiusa.
Titolo. Titolo… Titolo? Vabbè, meglio pensarci con più materiale tra le mani.